lunGrabbe
Andromaca
Opera neoplatonica in IV stanze ricreative
di Domenico Mennillo
dalla tragedia omonima e collettiva di Jean Racine
Locandina
lunGrabbe
Andromaca
Opera neoplatonica in IV stanze ricreative
di Domenico Mennillo
dalla tragedia omonima e collettiva di Jean Racine
ideazione, partiture, testi e ricerca musicale Domenico Mennillo
Andromaca Antonella Romano
Pirro Orazio De Rosa
Ermione Arianna D’Angiò
Oreste Domenico Mennillo
oggetti e installazioni Paolo Renza
abiti e tendaggi Rosaria Castiglione
fotografia Gianfranco Irlanda
organizzazione e coordinamento generale Raffaella Morra
relazioni esterne Genni Caruso
in collaborazione con Fondazione Morra / e-m arts
produzione lunGrabbe
Napoli, Palazzo dello Spagnuolo-Fondazione Morra,
dal 6 al 16 dicembre 2007
di Domenico Mennillo
Con l'istituzione dell'Accademia di Stato voluta da Luigi XIV nella Francia del seicento, si avvia il primo processo di protoglobalizzazione della cultura che nei secoli successivi verrà sviluppato e inteso da tutta l'Europa come una naturale evoluzione della crescita umana tramite canoni e norme da osservare e ossequiare.
Accanto all'Accademia viene a crearsi un'altra istituzione e cioè il salotto privato, sempre di Stato, spazio atto a stabilire divieti e concessioni ad uomini che aspirano a rientrare nel riconoscimento-protezione di Stato; spazio privato, più piccolo come dimensioni di quello accademico, il salotto è la succursale etica dell'Accademia stessa e suo prolungamento negli orari notturni.
Andromaca è la tragedia che consacra Racine poeta d'Accademia, è l'opera che gli consente d'entrare in quella dimensione di riconoscimento di Stato che l'accompagnerà per quasi tutta la sua carriera d'autore.
"Andromaca" fu rappresentata con grande successo la prima volta a Parigi negli appartamenti della regina Enrichetta
d’Inghilterra (a cui Racine dedica l’opera) il 17 novembre 1667, dinnanzi al re Filippo d’Orleans suscitando, successivamente nelle repliche all’Hotel de Bourgogne (a detta di Charles Perrault) “un fragoroso successo”.
A Napoli, che fra seicento e settecento contendeva a Parigi lo scettro di città più raffinata ed eccentrica d’Europa, sulla scia del clamore suscitato a Parigi dall’ "Andromaca" racineana, vengono messi in scena nel settecento, con successo e “fragore” non inferiore a quello parigino, diversi melodrammi ispirati alle vicende andromachee, fra cui vanno almeno ricordate i melodrammi di Caldara (1724), Di Feo (1730), Sacchini (1763), Gretry (1780) e Paisiello (1789).
"Andromaca" è l’opera che consente alla raffinata ed elitaria comunità “salottiera” sei-settecentesca l’accesso emotivo allo spazio delle passioni più irruenti e irrazionali dell’animo umano, raffigurate esemplarmente nella tragedia racineana nelle vicende in cui Oreste, Ermione, Pirro ed Andromaca consumano la loro presenza nella vita.
Nello spettacolo "ANDROMACA opera neoplatonica in IV stanze ricreative" viene creato un salotto in un unico spazio d'attività umane e in un arco temporale-rappresentativo di un'intera giornata-vita. Nello spazio del salotto dell'"ANDROMACA", spazio privilegiato della conoscenza coercitiva fra uomini della stessa comunità, quattro uomini (due uomini e due donne) passeranno
da un'attività ricreativa all'altra, osservati da altri uomini nello spazio del salotto stesso.
Il salotto è articolato in IV stanze ricreative che vengono abitate e vissute da quattro attori nel rituale d’impersonificazione tragico dell’"Andromaca". Il pubblico prende posto fra le sedie situate fra le IV stanze, come parte integrante di questo salotto stilizzato. Il salotto è fisicamente ideato per spazi architettonici già definiti, grandi sale o giardini di palazzi storici, ruderi di età greco-romana, spazi dove la storia è lungamente sedimentata. I personaggi di Racine vengono rielaborati secondo il criterio di conoscenza mitico-universale delle loro vicende, un uso simile a quello fatto dal filosofo greco Zenone un paio di millenni fa per l’elaborazione del suo paradosso di “Achille e la tartaruga”: Achille come piè veloce, come l’uomo conosciuto dalla Grecia per la sua mitica velocità. Nel caso dell’"ANDROMACA" i quattro personaggi di origine racineana vengono “usati” nelle partiture dello spettacolo per la valenza universale delle loro vicende umane in uno spazio di socializzazione normativo; in questo caso il salotto è lo spazio normativo con sue regole precise da osservare, in cui l’uomo si confronta e scontra con altri suoi simili.
2. Dell’autorap-presentazione neoplatonica
Il teatro e l'architettura sono le due forme per eccellenza dell'autorappresentazione che l'uomo europeo fa di se stesso, sono le due forme più visibili e quelle più ostentate dall'uomo in quel processo d'individuazione ed esclusione che ha caratterizzato (e in parte caratterizza tutt'oggi) la storia dell'uomo europeo dalla modernità alla contemporaneità.
"ANDROMACA" è un’opera platonica, costruita con elementi e strutture cari alla razionalità persuasiva imposta(ta) da Platone, ripresi dalla razionalità moderna in quella sua particolare vocazione al dominio dell’altro da segregare naturalmente-coercitivamente nei compartimenti stagni del “necessario sociale”. Il neo aggiunto a platonico (nel titolo dell’opera) non richiama ai movimenti filosofici di Plotino e compagni, ma sta ad indicare l’entusiasmo e il sollievo contemporaneo nella constatazione della vitalità e della salute del platonismo ultra razionalizzante dei nostri giorni.
Nella Stanza I dello spettacolo, piccolo prologo ieratico per figure platoniche, vengono intrecciati gli esiti di due miti platonici, quello detto della caverna, costituito nello spettacolo da una microtela-caverna con quattro attori che proiettano sulla tela (a beneficio di una capra) le sagome relative ad un’altra fabula platonica, quella detta della biga alata. L’augurio -auspicio che ne viene tratto per il principio dello spettacolo è proprio il richiamo alla vita della violenza irruenta dell’irrazionale, aggraziata ed edulcorata dal “sempieterno” ragionevole platonico.
3. Discorso sull’impossibilità del teatro
di offrire il meglio di sé al di là della rappresentazione
Il teatro è, in origine presso gli antichi greci e in seguito presso tutte le culture occidentali, il luogo pubblico delle rappresentazioni teatrali.
Cosa succede se a questa definizione sommaria di teatro sottraiamo il termine “rappresentazione”? Abbiamo la realizzazione di un teatro fondato come luogo pubblico e sul luogo pubblico, sottratto dopo tremila anni al concetto greco-minoico di rappresentazione.
Difatti nel Medio Minoico (1900 a.C.) fra i vari mègaron (ambienti) presenti nei tre palazzi cretesi di Cnosso, Festo e Mallia abbiamo la presenza di ambienti di rappresentanza, atti a riprodurre la riconoscibilità e la prosecuzione all’esterno del palazzo dell’immagine che la civiltà palaziale minoica ha realizzato di sé.
Successivamente i greci ereditano tutto il pacchetto razional-iconografico delle civiltà minoiche e micenee, realizzando l’ipertrofia razionale con Platone e Aristotele, culminante nel concetto estetico-esistenziale della rappresentazione.
La rappresentazione trova la sua secolare stabilità assiomatica nella sua natura filosofico-architettonica: al concetto (all’intuizione?) si accompagna sempre una conferma fisica, oggettuale, per la creazione dell’indimostrabile rappresentativo. Questo sostegno reciproco tra filosofia e architettura di
natura razional-rappresentativo, trova un momento rituale ed estetico nel teatro di rappresentazione.Ma un teatro fondato criticamente sul luogo, su un’architettura pubblicamente mostrata e vissuta, vuol dire innanzitutto sottrarre alla rappresentazione il dominio sullo scibile estetico di natura comunitario e dare finalmente al teatro la possibilità di offrire il meglio di sé come evento comunitario consapevole che disvela (theâstai) le diverse dinamiche di vivibilità fra uomini e spazi.
4. Nota ai testi dell’ANDROMACA
I testi dell’ANDROMACA, ad eccezione dell’Epistola di Oreste, fanno parte del poemetto in prosa LudiMagister. Il poemetto è nato in parallelo alle partiture sceniche dell’Andromaca e ad esso destinato come lingua adottata dai personaggi dell’opera.
Ludimagister è nell’antica Roma il maestro di scuola (elementare), dove la voce latina “ludus” assumeva il significato di scuola. Nel poemetto il ludibrio didattico di latina fondazione viene esplicato tramite alcune forme moderne di “hybris” da apprendimento scolare.
Infine, nell’Epistola di Oreste si riprendono e si rielaborano piccoli frammenti di una lettera alla madre del giovane filosofo goriziano Carlo Michelstaedter, di un libello estetico dell’artista napoletano Luciano Caruso e di un’epistola italiana di George G. Byron; tre scritture di natura persuasiva (riprendendo la terminologia di Michelstaedter) in perenne e fallimentare disputa con i discorsi inautentici e ciarlieri della natura retorica dell’uomo.